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Noi siamo un colloquio, diceva Hölderlin. Per Eugenio Borgna, rivolgere lo sguardo alle illusioni, ai sogni, alle attese e alle febbri di una vita significa entrare in un dialogo infinito con gli abissi della propria interiorità e anche con quella dei suoi pazienti, alla ricerca di ciò che le unisce nel dolore e nella speranza. È lungo il cammino che riporta alla luce le esperienze lontane, solo apparentemente perdute. Con la guida di Agostino e delle "Confessioni", di Leopardi e di Emily Dickinson, di Thomas Mann e di Virginia Woolf, Eugenio Borgna segue la scia dei ricordi dell'infanzia, segnata dal ritorno alla grande casa paterna devastata dai tedeschi durante l'occupazione, e si immerge nella memoria delle turbolenze dell'adolescenza. Rievoca il tempo trascorso in una clinica universitaria di Milano e quello dedicato al manicomio e all'Ospedale Maggiore di Novara, quindi ripercorre la rivoluzione della legge Basaglia e degli anni che ne sono seguiti. Nel corso di questo itinerario la psichiatria si rivela come un destino. L'attenzione, scrive Eugenio Borgna, è rivolta "non alla storia esteriore, ma alla storia interiore della mia vita: alle inquietudini e alle insicurezze, alle ansie e alle delusioni, alle tristezze e alle nostalgie, alle attese e alle speranze, alle scelte e alle decisioni che ne hanno fatto parte". La psichiatria accoglie la fragilità delle emozioni e delle passioni, senza mai distogliersi dalla fenomenologia del mondo sociale. E fa parte del grande racconto di una vita, nel quale si ricostruisce un passato capace di rivivere nel presente e anche nel futuro.